Incontro con Mario Pozza, Presidente della Camera di Commercio Treviso-Belluno

Un uomo carismatico nutrito da una travolgente passione, una sconfinata curiosità, una imponente esperienza, una costante determinazione accompagnata da una perseverante pragmaticità, una invidiabile abilità di analisi e lungimiranza; altresì protagonista del nostro territorio con notevoli e prestigiosi incarichi in variopinte realtà.
Nato il 27 ottobre del 1959 a Motta di Livenza coniugato con due figli e titolare del laboratorio odontotecnico a Motta di Livenza. La sua carriera iniziò da ragazzo come componente del Comitato Nazionale odontotecnici e da lì non si è più fermato ovvero fu Vice Presidente delegato delle categorie all’interno di Confartigianato, a seguire Presidente di tutto il sistema di riforma della Camera di Commercio in qualità di Consigliere Camerale assieme al Presidente Tessari, ricoprì il ruolo di Vice Presidente della Camera con Nicola Tognana, fino ad arrivare al secondo mandato da Presidente della Camera di Commercio Treviso-Belluno.

Oltre a questi incarichi detiene la presidenza di Unioncamere Veneto ed è Presidente di Assocamerestero. Altresì alquanti incarichi derivanti dai ruoli che riveste ovvero: Vice Presidente Unioncamere nazionale, Presidente di Venicepromex, Consigliere di Aertre, in quanto la Camera di Commercio di Treviso ha una quota azionaria, la più importante come Ente pubblico.
“La mia è una storia che ha qualche anno alle spalle -dice Pozza-, è sempre stata una crescita avvenuta ovviamente per passione, riuscendo a conciliare il lavoro da imprenditore con quello di Amministratore pubblico, a Presidente di Associazione e famiglia proprio perché a quest’ultima togli degli spazi ed affetti importanti. Tuttavia ho avuto fortunatamente una famiglia molto comprensiva che mi ha sempre sostenuto ed accompagnato nelle mie scelte imprenditoriali”.

C’è un ruolo in particolare che ha dovuto adoperarsi con più attenzione in riferimento alla situazione burocratica, macchinosa e complicata del nostro Paese?

“Si, proprio perché la Camera di Commercio di Treviso-Belluno nasce dalla riforma e quindi ci sono più aspetti ed attività che devono essere tenuti in osservazione con una valutazione particolare, dovuta anche alla fusione con Belluno, ovvero con un territorio ed economia di montagna completamente diversa da quello di Treviso, dove nel primo prevale l’occhialeria che incide per il settanta per cento mentre nel secondo c’è di tutto e di più.
Per quanto riguarda la burocrazia ovviamente è un male del nostro Paese che però con la riforma della Camera e con l’impegno degli amministratori quali consiglieri, che a loro volta hanno una vita imprenditoriale alle spalle e ben consolidata, si cerca nei provvedimenti di alleggerire certe dinamiche burocratiche.
Tant’è che la peggior burocrazia è quella legata alla giustizia civile ossia: se tu hai una causa con una impresa prima di risolvere l’inghippo passano anni e l’impresa non può attendere”.

Accadrà una velocizzazione a queste dinamiche?

“Non credo perché abbiamo un Parlamento che legifera molto, sommando alquanti provvedimenti e leggi. Abbiamo una macchina burocratica che si autoalimenta proprio perché i politici passano ma i burocratici rimangono nonostante ci siano dei bravi dirigenti.
Basti pensare e rimanendo nel nostro territorio, che difficoltà ci sono nel mettere in campo certe opere nel bellunese in riferimento alle Olimpiadi”.

Come si trova in questo ruolo che presiede? Ha notevoli responsabilità, non ha mai avuto un momento di sconforto?

“Sono vaccinato. Nessun sconforto perché un imprenditore da quando si sveglia al mattino è consapevole di tutti gli ostacoli che incrocerà durante la giornata. Sono già formato per le difficoltà e con un ruolo come il mio si sa che ci sono giorni belli e meno belli; fondamentale è affrontare la realtà con una certa dignità, portando avanti i propri valori e la propria idea. Altresì avere una struttura alle spalle che ti sostenga dal punto di vista tecnico ed operativo, così com’è per me la Camera di Commercio, significa moltissimo”.

Quante imprese Venete sono iscritte alla Camera di Commercio?

“Sono all’incirca quattrocentomila inscritte alle cinque Camere del Veneto, con le unità locali arriviamo a cinquecentotrentamila imprese. Siamo una Regione con una imponente storia alle spalle di piccole e medie imprese che esportano per un valore di ottantamila miliardi, arrivando ad essere la seconda/terza Regione (ce la giochiamo con l’Emilia Romagna) dopo la Lombardia, sebbene quest’ultima ha una estensione doppia rispetto al Veneto, quindi un tessuto economico imprenditoriale che va da grandi multinazionali a imprese modeste. Mai pensare di essere arrivati, questa è la lungimiranza dei nostri imprenditori”.

La Camera di Commercio è deputata dallo Stato nel promuovere l’economia del territorio di tutti i settori, dal primario, all’agricoltura, al commercio, all’industria, all’artigianato, cultura e turismo.
Quale settore è più trainante rispetto agli altri?

“Il Veneto è molto forte nel manifatturiero ma altrettanto nel turismo e grazie a quest’ultimo siamo la prima Regione a livello Nazionale come numero di turisti, avendo una grande fortuna ovvero non ci manca nulla spaziando da monti, colline, laghi, mari, ville venete, città murate…
Abbiamo settori e città più deboli a cui riserviamo più attenzione come Belluno e Rovigo; sebbene nel primo regna l’occhialeria e nel secondo la costruzione di giostre.
Abbiamo altresì il settore della moda, della scarpa, del marmo, della concia, dell’oro, del mobile… insomma non c’è una Regione in Italia che abbia una così elevata e varia capacità come il nostro Territorio”.

Com’è cambiato il mercato negli ultimi anni? C’è un’accelerazione di sviluppo all’estero ed involuzione di produzione in Italia?

“Ci sono tanti fattori geopolitici che condizionano il mercato sia della produzione che del commercio ovvero l’inflazione, i tassi di interesse, il costo della vita ecc. Per quanto riguarda la produzione con tutte queste tensioni dovute alla guerra tra Russia e Ucraina, operazioni militari in Israele ad

ottobre, ostilità tra Stati Uniti e Cina, ormai si può parlare di crisi permanente che però con la dinamicità del nostro sistema e quindi delle nostre medie imprese permette di reagire meglio rispetto alle grandi aziende, sebbene quest’ultime fanno da traino per la ricerca e apertura in nuovi mercati”.
Ci sarà la possibilità di riprenderci tutte quelle attività, manualità professionali che ci sono state portate via?

“Bisogna fare un’opera di coinvolgimento delle famiglie per orientare i figli anche ai lavori manuali, con gratificazioni economiche.
Al giorno d’oggi chi apre un’impresa ha un titolo di studio di scuola media superiore, quindi una formazione di base serve; l’importante è far capire alla famiglia che se il ragazzo intraprende un lavoro manuale, non è di meno di un notaio, medico o avvocato”.

Un suo pensiero riguardo la nuova generazione. I ragazzi hanno voglia di rimboccarsi le maniche e far fatica?

“Rispetto ad una volta un po’ meno tuttavia credo sia dovuto a questa generazione che ha trasmesso poco l’amore per l’impresa, dall’altra parte bisogna saper vendere bene la propria azienda.
Probabilmente tanti giovani emigrano all’estero perché non sono alla conoscenza di cosa il territorio offre per soddisfare le loro aspettative.
Altresì siamo troppo dedicati nel produrre, in questo modo valorizziamo poco le nostre produzioni e questo potrebbe essere un altro dei motivi che portano i giovani fuori dal nostro Paese”.

C’è una rincorsa al denaro sempre più imponente. Questo ha portato ad una sevizia nei mestieri in Italia, soprattutto per la retribuzione e ad un dislocamento all’estero. Che ne pensa?

“Più che una rincorsa al denaro c’è una rincorsa nell’essere competitivi. Le aziende per essere tali nel mercato devono indubbiamente produrre un prodotto di qualità e questo paga in termini economici.
Se compriamo un capo di abbigliamento, desideriamo sia bello e che dia delle garanzie a livello di componentistica e se si consuma italiano si è certi della qualità proprio perché il nostro Paese ha leggi e controlli molto severi”.

Secondo lei c’è una evoluzione o involuzione dell’uomo in questi mercati che stanno cercando sempre più di meccanizzare la manodopera?

“La meccanizzazione non sostituirà l’uomo, la digitalizzazione aiuterà l’uomo.
Ci sono dei mestieri e delle produzioni che possono essere fatte dalle macchine ma questo non significa escludere l’uomo bensì la tecnologia progredisce e la competitività è anche data dalla tecnologia. Altresì il prodotto italiano ha una sua specificità, c’è molta manualità e artigianato.

Cosa ne pensa degli industriali che vanno all’estero per produrre?

“Gli industriali vanno all’estero quando non trovano nel territorio qualcosa di vincente ovvero adeguate infrastrutture, un costo della manodopera competitiva o inesistente.
Abbiamo avuto esempi di aziende che sono emigrate all’estero soprattutto negli anni ‘90, con la caduta del muro di Berlino, tuttalpiù molte sono rientrate.
Un esempio evidente e attuale ossia la guerra in Russia e Ucraina, la filiera lunga non paga perchè aumentano i costi di trasporto e i tempi; conviene quindi riportare le produzioni all’interno del nostro Paese o nei Paesi vicino a noi”.

Questa relazione Italia/Estero che oramai con la globalizzazione sta prendendo il sopravvento, che proficuità avrà negli anni?

“Ci stiamo impegnando molto per incrementare i flussi del turismo di ritorno e nutrire l’interesse degli investitori esteri verso il nostro Paese, avviando e ovviando un meccanismo di penetrazione nei mercati esteri, affermando e potenziando la presenza del Veneto che ad oggi raggiunge gli ottanta miliardi di esportazione; quasi il 50% della propria produzione.
C’è una evocazione nel porsi in questi mercati, ovvero un percorso di internazionalizzazione che compensa quando il mercato interno non risponde dal punto di vista dell’aspettativa e quindi necessitiamo di avere una seconda strada per vendere i nostri prodotti.
Possiamo quindi dire che il nostro Paese si regge sull’internazionalizzazione”.

di Federica Gabrieli

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