Treviso si propone “Capitale della Cultura” 2026

Treviso ha presentato il suo programma per ottenere il conferimento del titolo di Capitale Italiana della Cultura 2026. Il dossier di Treviso, dal titolo I sensi della Cultura, si articola su tre diverse declinazioni del termine senso: il senso come significato, il senso come direzione, il senso come percezione.

Igino Marangon con il sindaco di Treviso Mario Conte

Sulle declinazioni di senso e di cultura, Treviso si gioca la più finanziaria delle sue partite: quella del turismo. Il concetto di turismo del paesaggio culturale, definito dalla convenzione europea come parte di territorio, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni, è la direttrice madre delle politiche messe in atto dalla Regione Veneto e dagli imprenditori.
Nel paesaggio culturale non vi è solo la dimensione architettonica ma una relazione uomo-ambiente che crea un processo vivente continuo. Il territorio in questione è un bene identitario, frutto del lavoro e della percezione della popolazione, carico di elementi culturali, sociali, etici che uniscono i membri della comunità. Il turismo del paesaggio culturale si accompagna, nelle intenzioni del progettista regionale, al concetto di turismo lento e dolce che guarda alla sostenibilità e allo sviluppo del settore turistico dell’area veneto-trevigiana laddove è necessario tener conto delle risorse naturali esistenti, dell’efficienza energetica, dei trasporti, delle tecnologie eco-building e del miglioramento delle aree degradate. Nell’organizzazione territoriale prevista dalla Regione Veneto per la nostra provincia, Treviso è: ODG Città d’arte e ville venete del territorio trevigiano e le sue funzioni riguardano: la governance del territorio; l’organizzazione e gestione dell’offerta turistica locale; la qualità dei servizi e prodotti turistici anche attraverso la ricerca, lo studio e la formazione; la creazione di forme di cooperazione sinergiche tra soggetti pubblici e privati relativamente a progetti specifici coerenti con le macro strategie elaborate dalla OGD stessa; la gestione unitaria e innovativa delle funzioni di informazione ed accoglienza turistica; il coordinamento della promozione e commercializzazione dei prodotti turistici della destinazione in concertazione con i consorzi di impresa costituiti ai sensi dell’art. 18 della L.R. 11/13; l’individuazione dei canali di raccolta fondi per il sostentamento di progetti specifici ritenuti interessanti e strategici per il raggiungimento degli obiettivi proposti; l’eventuale acquisizione e/o gestione di beni immobili e mobili e servizi ritenuti necessari per la costruzione del prodotto turistico.
Punto di partenza della OGD Città d’arte e ville venete del territorio trevigiano è la base identitaria dell’area che viene configurata sotto il macro concetto del SAPER FARE. Tale concetto spinge all’avvio di un processo di riqualificazione, di valorizzazione e messa in fruizione di un sistema articolato di beni tangibili ed intangibili costituito da luoghi, prodotti tipici, maestrie, tradizioni locali e personaggi del passato e del presente. Il concetto del SAPER FARE è importante per recuperare il patrimonio immateriale fatto di testimonianze antiche e moderne attraverso un processo di consapevolezza e partecipazione di tutti i residenti, anche recuperando quelle forme di accoglienza che ivi appartenevano. E’ un concetto in linea con quanto introdotto anche dalla Regione Veneto con il marchio Bello, Buono e Ben fatto- BB&B, comprendente prodotti che coniugano l’antica tradizione del Saper Fare con l’Innovazione Creativa e Qualificata di alcuni settori.
Igino Marangon, architetto trevigiano che, come voleva Ruskin, trova le mani che hanno eretto gli edifici dentro la bellezza architettonica, protagonista di una ricca e documentata mostra di Treviso La Città Antica e il suo Territorio, tenutasi lo scorso dicembre in Casa dei Carraresi, peraltro arricchita da una mirabile ricostruzione tridimensionale del paesaggio urbano ad opera di Ruggero Barbon, da tempo trasferisce il suo amore per ville, dimore rurali e architettura con china e matita.

A mostra chiusa, ne approfittiamo per un coinciso dialogo.

In una dichiarazione alla stampa lei ha definito “Il fine del mio lavoro è quello di fissare nel tempo architetture che rischiano di sparire, e non basta una semplice foto: con questi disegni conosco profondamente l’edificio, nel ricalcare un cesello scopro il lavoro artigianale che lo ha prodotto, nel seguire il profilo di un cornicione apprezzo le maestranze che lo hanno creato. Gli edifici sono come i quadri, come i libri: vanno letti»

Di quali strumenti e competenze disponiamo, oggi, per tramandare il senso del bello e ben fatto in edilizia?
“Il primo strumento è avere la coscienza dell’importanza del bene sia esso il territorio, una villa, un rustico, un centro storico. Ci sono strumenti tecnici in abbondanza, quello che manca è a mio avviso la manodopera qualificata: non ci sono giovani a sufficienza che imparino l’arte del restauro delle murature o delle strutture lignee o degli stucchi o degli intonaci a marmorino, per non parlare dei pavimenti alla veneziana o dei giardini che sono i primi elementi a scomparire. Non si è creata una scuola del restauro, è stata proprio una mancanza dell’intera società, tutti parlano di computer ma le ville si restaurano con le mani e con la testa non con il digitale. Del resto tutti i giovani vogliono laurearsi e nessuno vuole fare il muratore, ma è colpa dell’intera società questa mentalità di pensare che il lavoro manuale qualificato sia meno pregiato del lavoro d’ufficio o intellettuale e ne stiamo pagando le conseguenze: anche avendo i mezzi mancherà una manodopera qualificata nel campo del restauro edilizio e a mio avviso si faranno più danni che salvataggi.”.

Le ville, dimore e castelli sono quasi tutte in piccoli Comuni e spesso ne rappresentano l’unica attrazione turistica. Ma hanno costantemente bisogno di lavori, molto costosi, e metterle a reddito è sempre più difficile. E così le dimore storiche del Veneto – 3.807 tra ville, palazzi, castelli, case, giardini e parchi rischiano essere lasciate andare, alcune abbandonate. Almeno 400 dimore storiche in Veneto sono oggi inagibili ed è facile vederne la decadenza lungo il Terraglio.
A suo parere, come potrebbe essere riportato a nuova vita questo immenso patrimonio immobiliare e culturale?
“Credo sia già troppo tardi, come le dicevo manca una cultura diffusa dell’importanza di questi beni , ci vuole la volontà politica ma ci vogliono uomini illuminati prima di tutto e credo che sia una battaglia persa.”.

In tema di edilizia residenziale signorile, Treviso è paragonata a Venezia o a Vicenza: più di un centinaio di edifici che meritano di essere annoverati nella tipologia del palazzo urbano del periodo compreso tra Trecento e Ottocento.
Può elencarli e sceglierne alcuni, a sua scelta, da citare per importanza, stato di conservazione ed accessibilità?
“Treviso non si può paragonare a Venezia, per la quantità di palazzi nobiliari, Treviso era una piccola città suddita ma con una sua classe nobile e anche mercantile che aveva notevoli mezzi economici, che ha edificato molti palazzi (non a livello dei ricchi veneziani), che sono un esempio significativo di residenza nobiliare nonostante i molti demoliti o distrutti dai bombardamenti aerei sia della prima che della seconda guerra mondiale.
Citerei Palazzo Spineda, sede della Fondazione Cassa marca, che è in perfetto stato di conservazione; Palazzo Avogadro a Sant’ Andrea ancora in buono stato; Palazzo Onigo, posizionato lungo il Corso, che è stato adibito a grande emporio commerciale snaturandolo a mio avviso; i vari palazzi dei Rinaldi nella omonima piazza sono in buono stato, due in realtà sono dei condomini, ma intanto si salvano; il palazzo Scotti è inutilizzato, lo Zuccareda è sede del comando dei carabinieri, i due palazzi Bomben e Caotorta sono sede della Fondazione Benetton e sono in ottimo stato di conservazione; il palazzo Filodrammatici pure è in buono stato; Ca’ dei Ricchi di recente restaurata, il palazzo Mainer a sant’ Agostino, vari palazzi nel borgo di Santi Quaranta e anche tanti altri palazzetti sono abitati e curati dai vari proprietari, elencarli tutti sarebbe una cosa lunga”.

L’architettura minore, in particolare quella rurale, ha sempre connotato il paesaggio veneto e costituisce elemento rilevante del nostro patrimonio culturale condiviso. A suo parere come potrebbe essere accolta nel concetto di turismo del paesaggio culturale, ovvero di “una relazione uomo-ambiente che crea un processo vivente continuo. Il territorio in questione è un bene identitario, frutto del lavoro della percezione della popolazione e carico di elementi culturali, sociali, etici che uniscono i membri della comunità”?
“Certamente è sempre stato così, basta guardare i paesaggi dipinti nelle tele dei nostri pittori, dal Bellini a Giorgione ai Bassano, a Ciardi, ma mi sembra che ora questa relazione stia venendo meno, il mondo sta cambiando. Pochi dei giovani capiscono che bisogna impegnarsi con fatica e coraggio nella tutela del territorio: è più facile abitare in appartamento dove non hai il giardino da curare e appena puoi prendi la macchina e vai in vacanza, laddove bisogna fermarsi e con fatica curare il giardino o l’orto dei genitori e questo non è di moda. Basta guardare le trasmissioni demenziali che trasmettono alla televisione, che modelli propongono e la massa segue questi modelli di vita che nulla hanno a che fare con la consapevolezza di abitare in un territorio che era stato un giardino e noi lo abbiamo riempito di brutte case, di capannoni, di rotonde, di centri commerciali all’americana con enormi parcheggi, abbiamo tombato i fossati, e abbandonato la coltivazione delle campagne. Io sono pessimista, non vedo segnali di cambiamento e anche se la classe politica lo volesse non prenderebbe i voti. E’più facile e pagante fare spettacoli che fare opere utili e intelligenti, ma la colpa è di tutti noi che siamo ormai assuefatti al consumismo”.

I castelli avevano scopi difensivi prima che abitativi e le ville erano luoghi di produzione, allevamento e rappresentanza commerciale. Che significato hanno oggi le ville, dimore e castelli per gli abitanti del Veneto?
“Si, i castelli avevano scopi difensivi ed anche abitativi, nel senso che furono costruiti in periodi di forte instabilità politica come residenze fortificate per famiglie potenti, ma vi erano anche castelli puramente militari che ospitavano guarnigioni militari in punti strategici del territorio, si pensi al castello di Stigliano al confine tra padovano e trevigiano. La maggior parte delle ville erano luoghi di produzione agricola nel senso che ospitavano, oltre alla residenza del proprietario, anche i granai, le cantine, le stalle; si pensi alle grandi barchesse di alcune ville come quella di Piazzola sul Brenta o del vicentino, oppure alla grande barchessa dei Pola a Barcon per restare nel trevigiano. Non mi sembra che le ville avessero una rappresentanza commerciale, in essa vi abitava il gastaldo che curava gli interessi dei proprietari e poteva anche interessarsi di vendere i prodotti ma sempre sotto lo stretto contatto dei proprietari, poi con il tempo certi fattori o gastaldi sono diventati più furbi dei proprietari e con il tempo sono anche divenuti proprietari delle ville con le relative campagna”.

Che significato hanno oggi le ville, dimore e castelli per gli abitanti del Veneto?
“Non so che significato abbia oggi la presenza di tante ville per gli abitanti del Veneto, vedendo lo stato di abbandono di tante di esse, così come di tanti rustici, mi sembra che ci sia una certa indifferenza, soprattutto da parte di coloro che hanno i mezzi economici per recuperarle e poi anche dalla classe dirigente, purtroppo come tutti i fenomeni umani hanno una nascita e una morte prima o poi …”

di Sabrina Danieli Franceschini

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