Storica meta di sportivi, artisti, Dino e Anna si dedicheranno ora ai nipoti
di FURIO PRANDI
“Sono nato settimino nei casoni di Caorle nel 1946, dove la mia famiglia si era rifugiata per mettersi al riparo dalla guerra. Nel dopoguerra siamo vissuti a Musile, ma a 12 anni me ne andai da casa per seguire il mio cammino”.
Dino Caramel, 78 anni compiuti lo scorso ottobre, inizia il suo racconto, il racconto di un’epopea imprenditoriale, seduto nella sala da pranzo del suo ristorante iconico “da Dino”, a cavallo tra Treviso e Villorba. Celeberrimo ritrovo di sportivi, artisti, politici, personaggi di tutti i livelli e di tutti gli ambienti. Ma soprattutto luogo simbolo della cucina trevigiana. Un luogo che il 22 dicembre chiuderà i battenti, per sempre.
“Quella domenica sarà la nostra ultima cena”, dice Dino non senza una punta di commozione. “Non fatemi pensare a come mi sentirò. Ma la scelta è stata fatta, ormai. E non mi pento. Era inevitabile”.
La storia di Dino Caramel è racchiusa anche in un piacevole libretto, composto da uno dei figli. Poche copie, quasi ad uso famigliare e per gli amici più intimi. Un’esigenza che Dino sentiva viva, quella di riassumere un po’ quella che è stata una vita spesa dietro ai fornelli, da chef di piatti prelibati, e in sala,
da anfitrione simpatico, a volte pure burbero al punto giusto, comunque mai banale.
“E’ arrivato il momento di mollare. Gli acciacchi dell’età, qualche problema di salute di mia moglie (Anna Borghetto, l’anima gemella nella vita e nel lavoro, ndr). Le ho detto: cea, dai che ci ritiriamo e viviamo fin che Dio vorrà lontani da questo locale, a goderci ancora un po’ la vita, le passioni, i nipotini. A riposarci. Sono 55 anni che sgobbiamo come muli tutti i santi giorni. Big Ben ha detto stop”.
Ma attenzione, non ci sarà un altro “da Dino”. Nè qui nè altrove.
“Non ho voluto dare in affitto il ristorante, non mi fido. Non vedo in giro persone adatte a continuare.
Preferisco chiudere e che tutto finisca. Pinarello, che ha sede qui a fianco e che ormai è una multinazionale, mi stava dietro da anni. Sono loro che hanno comprato tutto. Il casolare, la dependance, il parco circostante.
Abbiamo già firmato il rogito. Faranno un’appendice della fabbrica, ma rispettando i vincoli agricoli: si parla di foresteria, pista per il bmx, cose simili. Una sorta di parco del ciclismo adiacente alla sede di una delle industrie di bici ormai più famose del mondo”.
Torniamo al Dino ragazzino che cercava la sua strada nella vita.
“Amavo l’arte culinaria e la coltivai fin da giovanissimo. Ho lavorato in numerosi alberghi di Jesolo, dopo il servizio militare ho lavorato ad Abano Terme. Alla fine degli anni Sessanta la svolta è stata trovare posto da cuoco a Pianezze, all’hotel MIravalle.
Li ho appreso dalla mamma di Gigetto Bortolin (altro chef notissimo della cucina della Marca, ndr) una delle ricette culto della cucina trevigiana, la sopa coada, che io ho rivisitato, valorizzato e riproposto fino ai giorni nostri. Sempre in quel periodo ho conosciuto Anna, che era una cliente del Miravalle, ci siamo innamorati e sposati in poco tempo a Villorba, il paese da cui lei proveniva. E senza nessuna luna di miele ci siamo buttati nel lavoro aprendo una piccola trattoria, già esistente ma un po’ dismessa, a Fontane”.
I trevigiani più agé se la ricordano bene.
“Certo, anche se gli inizi non furono affatto facili. Avevamo pochi clienti e per sbarcare il lunario
dovetti cercare altri lavori. Feci il cameriere al Bersagliere, in centro a Treviso, e poi stavo al mercato del pesce. Così riuscivo a portare in trattoria a prezzi modici il pesce che restava invenduto. Piano piano la trattoria di Fontane prese piede soprattutto tra gli sportivi, che si trovavano da noi dopo gli allenamenti o le partite. E tiravano tardi davanti ad un piatto dei miei spaghetti alla carbonara, che è divenuto un altro must”.
Diciotto anni a Fontane, settanta coperti sempre esauriti, un parcheggio ormai troppo striminzito. Ma soprattutto la prospettiva di uno sfratto che non permetteva alternative.
Da lì l’idea, ma più che altro l’esigenza di non buttare a mare tutto quanto e di continuare in una location diversa, non troppo lontana dalla prima, sempre alle porte della città.
Anna e Dino rilevarono e restaurarono il casolare di via Doberdò, laterale di Strada Ovest, e ne fecero il ristorante che ha vissuto altri 36 anni acquisendo notorietà nel mondo della cucina fino a questo 2024 che segnerà la fine di un’epoca.
“Non so se il mio ristorante è l’ultimo di una certa tradizione trevigiana – dice Dino – Forse chi pensa
questo ha ragione. Non ne vedo altri del genere, ormai, in città. Certamente verrà meno un luogo di ritrovo per tanti. E per tanti personaggi che perderanno un punto di riferimento quando passano da queste parti e si ricordano di me e della mia cucina”.
Personaggi immortalati nelle foto che campeggiano nelle sale del ristorante. Dopo una partita o un concerto, al Tenni come al Palaverde, “Dino” è stato una tappa obbligata per tante celebrità. Impossibile elencarle tutte (il libricino di cui abbiamo parlato prima prova a farlo).
In questi anni vari personaggi dello sport, della cultura, dello spettacolo hanno degustato ed
apprezzato i piatti tipici del locale (oltre alla sopa coada e alla carbonara, come non citare la caciotta ai ferri, il radicio e fasioi, tutte le carni e, a fine pasto, l’immancabile sgroppino al caffè) e la coinvolgente atmosfera creata dalle sale floreali e curate personalmente da Anna e Dino.
Ne snoccioliamo solo qualcuno per rendere l’idea: Claudio Baglioni, Antonello Venditti, Vasco Rossi, Riccardo Cocciante, Fiorella Mannoia, Beppe Grillo, Roberto Baggio, Miguel Indurain, Christian Ghedina, Toni Kukoc. Ma ce ne sono almeno altri cento e più. Per mesi interi Benetton Basket, Sisley Volley e Calcio Treviso si sono sfamati e abbeverati da “Dino”.
“Gigi Radice – racconta – fu il primo allenatore a frequentare abitualmente il mio ristorante. D’altronde io sono sempre stato il primo tifoso del Treviso, andavo tutte le domeniche allo stadio al punto che tenevo chiuso per turno alla domenica per andare alla partita. E per le trasferte preparavo io personalmente i cestini da viaggio per i calciatori e per lo staff”.
Impossibile elencare tutti gli artisti venuti qui, però almeno qualche aneddoto Dino lo racconta.
“Ricorderò sempre la telefonata di Roberto Benigni: aveva fatto uno spettacolo a Bassano, mi chiamò
e mi chiese se poteva venire a mangiare qui. Erano le 2 di notte, stavamo chiudendo tutto. Ma ovviamente gli dissi di sì: abbiamo fatto alba con lui. Era irresistibile. Oppure quella volta che James Brown voleva un’auto a noleggio dopo la cena per tornare in hotel. Gli dissi: siamo a Treviso, mica a New York. Dove trovo un’auto a noleggio di notte? Al massimo un taxi. Finì che lo accompagnai io con la mia Saab fino al Ramada di Mestre. Era ormai mattina e da lì andai direttamente al mercato a prendere la roba per la cucina, senza dormire”.
Riconoscimenti gastronomici ne abbiamo? E come no: “da Dino” è citato nelle più importanti guide della cucina, compresa la Michelin. Cavaliere del Lavoro, Guinness World Records, Medaglia d’oro per lo sgroppino. E, ultimo in ordine di tempo, lo scorso novembre, a Caramel e stato conferito il Radicchio d’Oro a Castelfranco.
Il 22 novembre Dino con Anna, i tre figli Simone, Simonetta e Paolo, i tre nipotini, hanno festeggiato in famiglia i 55 anni di matrimonio e di ininterrotta vita, affettiva e lavorativa, insieme.
Ora che chiudete, e alla soglia degli 80 anni, che cosa farete?
“Ci ritiriamo in una casetta comprata in campagna, fin che starò bene curerò il giardino e farò gli altri lavoretti di manutenzione che mi è sempre piaciuto fare anche nel ristorante, dove dipingevo le pareti, potavo alberi e sistemavo i sassolini del parcheggio. Riposeremo e magari cucineremo ancora per pochi amici. La ristorazione mi mancherà? Adesso non ci voglio pensare”.