di Giorgio Fantin
Eravamo targati “IGNIS” Treviso e già dopo la parte iniziale del campionato la squadra era additata dalla stampa sportiva una sicura partecipante al girone finale. Le prime partite avevano fatto scoprire potenziali capacità perfino in noi stessi, con la vitalità dei nostri schemi di gioco a tutto campo, costruiti sulla preparazione tecnica individuale completa e riprova collettiva infinita, dove sull’ala arrivava sempre Gaggion da pilone ed il sostegno della seconda linea “Ciano” Loschi.
Ero rientrato dalle Fiamme Oro di Padova, dove avevo completato il servizio militare e soprattutto avevo avevo giocato una esaltante stagione, anche fra grandi atleti probabili Olimpionici a Roma, da Berruti ai Lievore, da Mazza a Cavalli e Roveraro. Vincendo lo scudetto da terza linea titolare col “Maci” Battaglini e giocando in Nazionale militare contro una grande Francia, da tallonatore, la mia partita più bella.
Ma nel Treviso era ritornato anche Paolo Pavin, plagiato consenziente da nuove e vibranti esperienze, da non rinnegare, del gioco a XIII. E dal Pelv Venezia arrivava il giovane Franco Giugovaz, spirito “sinto da cae de oro” con ascendenze marinaresche slavo bizantine.
Il sicuro abbinamento con la Ignis di Varese dava basi di tranquillità.
La nostra forza più grande, che nemmeno io capivo inizialmente era Renato Brisolin, il Presidente, che di Rugby e di sport non sapeva assolutamente niente ma era un formidabile psicologo e manager con intuizioni rapide sulla portata di quel gioco sghembo e su quei ragazzi “suonati” ma candidamente entusiasti, sicuro veicolo di pubblicità riflessa. Ci ripeteva “ ve go tirà fora dal fango” con similitudini pleonastiche quando facevamo i bulletti.
Conobbi Brisolin una sera a Roncade, da Tagliapietra per un Caciucco alla livornese e Zucchello, Introducendolo da una bassa porta, mi disse “questo è il tuo Presidente”.
Nacque così il nostro posto al sole, fra il bar K.O. di Gino Giudici, il Biffi e il caffè Beltrame, mentre prima il luogo d’incontro era da Mascherino nel Caffè dall’altra parte della Piazza, fra la Pasticceria Bosio e la Comense. E poi da “Ciccio” Vanin, da Bruno Beltrame in mezzo ai vecchi Borra, Polisseni, Bruno Perini, Fantinelli, Stradiotto , Zavatarelli, “Toe”, Dotto, Ceron, Baietto, Ganassi, “Checca” Busato, Nisio Zangrando, creammo interesse e rispettabilità al nostro gioco sconosciuto e fino ad allora disprezzato dai più. Anche Ottorino Lorenzon, il Segretario di ferro ancora da scoprire e da raccontare, è parte storiografica del nostro folle Rugby.
Ci trovò impreparati la partita a Piacenza nel nostro strano girone, non sapevo nemmeno che giocassero a rugby. Un marziano, Beltrametti si chiamava se ben ricordo, bloccò sul nascere l’idea delle nostre azioni sia in touche sia in mischia chiusa sofferta.
Cercammo di organizzare il gioco aperto e tecnico, ma un ostacolo divenne l’arbitro Castano di Milano (decisa rotondità e con una faccia da vene rosse) che ci fischiò contro falli inventati, fintantochè Franco Casellato, come l’Arcangelo Gabriele, si stancò di starsene in Paradiso dandogli un pugno, gridando la sua rabbia isterica e togliendosi la maglia.
Perdemmo la partita, uscendo delusi ed increduli e andando verso lo spogliatoio, Toni Turchetto, mentre l’arbitro davanti a noi scendeva la scala, gli rifilò una pedata nel sedere. Non lo so ancora oggi forse fu l’istinto, l’amicizia, l’intelligenza, ma ci ritrovammo Sartorato, Turchetto ed io con altri ad alzare il pollice ridendo perché era diventato un soltanto un gioco ad indovinare chi era stato.
Era un rugby romantico tanto che nessuno fu squalificato, neppure Casellato.
Ma passarono pochi anni e l’arbitro Castano allo stadio di Treviso fu duramente punito, con la complicità di “Pancio” Perini, in una rissa furibonda contro l’Amatori Milano che ci portò alla penalizzazione di un punto In classifica.