CANOVA Le molte vite.

Il libro di 
GIANCARLO CUNIAL

di Cinzia Zanardo

Che Antonio Canova sia stato uno dei più grandi scultori di sempre si sapeva, si sa.
Sembra tuttavia che l’artista abbia vissuto molte vite: quella del diplomatico, soprintendente, professore, imprenditore, innamorato, viaggiatore, buon cristiano…Dopo la sua morte, avvenuta a Venezia il 13.10.1822, fiorirono grandi biografie dell’artista, ma mancavano degli aneddoti personali, che permettessero di conoscerlo meglio. In questo libro ce li fornisce Giancarlo Cunial già docente di Storia e Filosofia, collaboratore del Museo Canova di Possagno per il quale ha scritto più saggi sulla vita e le opere dell’artista. “…Canova ricordava l’interno fuoco di che si sentì acceso, e il desiderio natogli di dar principio con più applicazione ai suoi studi. Fuoco e desiderio che lo portarono alla smania di occuparsi dell’arte sua senza riguardo a perdita di sonno e senza cercar mai riposo o tregua…”
Canova nacque nel 1757 a Possagno da Pietro, scarpellino che morì quando Tonin aveva 4 anni. La madre si risposò ma lasciò il figlio al nonno paterno, Pasino, rustico e stravagante che spesso mortificava il piccolo. Ma fu proprio lui ad accorgersi delle straordinarie inclinazioni artistiche del nipote e lo presentò al senatore veneziano Giovanni Falier, che lo introdusse nella bottega dello scultore Giuseppe Bernardi nell’asolano. A 11 anni, Canova è già nell’atelier di Venezia, lavora incessantemente e impara con grande curiosità, affamato di conoscenza. Frequenta l’Accademia del nudo, si esercita instancabilmente nel modellato e nel disegno. Le prime statue importanti, una Euridice e un Orfeo, realizzate a 16 anni ebbero enorme successo. Trovò, per Euridice, una modella di Possagno che posò segretamente, dopo che, per intercessione del parroco di Possagno, furono placate le ire del nonno che non tollerava le nudità della ragazza davanti agli occhi del nipote. Potè posare solo in presenza di altri e i bollenti spiriti del giovanissimo Canova furono messi a bada con minacce di roghi infernali. Per ricordarselo, incise sul piedistallo di Euridice “Memento mori – Ricordati che devi morire”.
Nel 1780 si trasferisce a Roma. Una immersione totale nella classicità. Disegnava sempre, rapito dal “Fuoco e desiderio” di mettersi dentro agli occhi tutte le cose belle che vedeva “diséme come se podaria far par no dormir tre anni”. Vedeva, progettava, pianificava, tanto che divenne il primo grande imprenditore artistico moderno, avvalendosi di operatori specializzati in ogni fase della lavorazione. Lui ideava, poi l’opera passava agli scalpellini che trasferivano le misure nel blocco di marmo. Canova dava l’ultima mano, prima che il lustradore chiudesse il ciclo.
A Roma è un susseguirsi di successi artistici, a partire da Dedalo e Icaro. L’ambasciatore Zulian gli commissiona Teseo vincitore sul Minotauro oggi a Londra. Seguirono altre richieste provenienti dal clero, dai nobili, da uomini facoltosi. Il successo è strepitoso, per la critica Canova porta la resurrezione dello stile e dei principi dell’antichità. Si spalancano le porte a una carriera fulgida e ineguagliabile. Dopo aver realizzato i monumenti a Clemente XIV, benedicente e Clemente XIII, in preghiera, la fama esplode. Viene nominato cittadino onorario in molte città, fioccano ordini da ogni dove. Ovunque era una celebrità, anche se lui era schivo e mite.
Da Napoli il colonnello Campbell gli commissiona Amore e Psiche giacenti oggi al Louvre, il Senato veneto gli richiede il Monumento all’Ammiraglio Emo, un Amorino per la principessa Lubomirska, nobildonna polacca. Un emissario di Caterina di Russia, il conte Jussupov portò a Canova l’invito della zarina a trasferirsi a Pietroburgo e diventare artista di corte. Canova rifiutò l’invito ma scolpì per Jussupov una seconda versione di Amore e Psiche oggi all’Hermitage.
Lavora incessantemente, tra modellazioni di argilla e sgrossature del marmo. La fatica durissima per l’uso del trapano a violino appoggiato al torace, gli abbassò le costole e il diaframma, causò problemi di stomaco, di digestione e di respirazione che lo tormentarono per tutta la vita e lo portarono alla morte a 65 anni.
Intanto Napoleone nel 1796 occupa l’Italia e rivendica a sé manoscritti e opere d’arte. Il papa Pio VI fu costretto a firmare con lui il Trattato di Tolentino in cui si impegnava a consegnare alla Francia centinaia di manoscritti e tantissime opere d’arte. Canova prova inquietudine e smarrimento, si oppone di fronte a tanta scellerata rovina. Nel 1797 Venezia cade in mano all’Austria col trattato di Campoformido e i Cavalli di San Marco prendono la via della Francia. I Francesi occupano Roma e instaurano La Repubblica giacobina, aumentano gli atti di violenza, arrestano il papa Pio VI. Canova non vuole sottostare agli ordini dei francesi, torna in Veneto e ci resta fino al 1799 quando Napoleone mise fine alla rivoluzione francese spodestando il Direttorio.
A Venezia e Preganziol frequenta i salotti di Isabella Teotochi Albrizzi. Rientrato a Roma, diventa amico del nuovo Papa Pio VII.
Viene nominato docente all’Accademia pontificia, riprende a scolpire le statue di Ferdinando IV di Borbone oggi al museo archeologico di Napoli, Ebe per il conte Albrizzi, la replica di Amore e Psiche giacenti per Josephine Beauharnais.
Nel 1802 Canova è a Parigi alla corte di Napoleone che gli commissiona Napoleone come Marte Pacificatore alto circa 3,5 m. nudo, come la statuaria greca. Entra in confidenza con Napoleone e la sua corte, affronta la spinosa questione delle opere trafugate e la cessione
di Venezia all’Austria, pur rifiutando di restare alla corte francese per amore della sua libertà. A Parigi si diventa poltroni, si mangia, si va in carrozza, troppe distrazioni per la sua arte. Torna a Parigi anche nel 1810 per fare la statua dell’imperatrice Maria Luigia d’Asburgo, seconda moglie di Napoleone e ancora una volta declina l’invito a restarci, ma con animo anche di ambasciatore, rivendica le opere finite a Parigi, recuperate in parte solo nel 1815. Canova è ormai definito emulo di Fidia e Prassitele e viene nominato Ispettore generale di tutte le Belle Arti per Roma e lo Stato Pontificio, con sovrintendenza ai Musei Vaticani. Le sue entrate sono stratosferiche, i clienti ricchissimi e le statue strapagate. Però il lavoro è totalizzante, lo sfianca, confessa a un amico che per l’arte ha rifiutato ogni piacere della vita e soprattutto il più dolce e desiderabile, l’amore.
Sicuramente un’infanzia difficile lo ha portato ad essere anaffettivo, a sublimare le pulsioni sessuali nelle creazioni artistiche. Intanto Canova, tra il 1812 e 1817 realizza l’opera più nota e conosciuta in tutto il mondo Le grazie, una per Giuseppina Beauharnais, prima moglie di Napoleone, oggi all’Ermitage e l’altra per il duca di Bedford oggi a Londra.
Nonostante fama e ricchezza, Canova mantiene il contatto con il Veneto che ama profondamente e con Possagno, dove progetta, finanzia e realizza la costruzione del Tempio, iniziato nel 1819 e consacrato nel 1832, 10 anni dopo la sua morte. Coinvolse nell’opera centinaia di abitanti del luogo, ragazze comprese. Un grande gesto di generosità e amore per la sua terra, sempre conservato e difeso, concretizzato nell’atto testamentario, che cita”… ordino che l’abate Giovanni Battista Sartori, mio fratello uterino, sia l’erede generale…a lui affido l’obbligo di continuare, compiere e abbellire, in ogni sua parte, senza risparmio, il Tempio di Possagno…”

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