La rappresentanza del Volontariato della provincia di Treviso al rinnovo delle cariche

Tra crisi di identità e di rappresentanza

di ALBERTO FRANCESCHINI – PRESIDENTE ANTEAS

Con l’approssimarsi del Rinnovo delle Cariche dell’Associazione Volontarinsieme, organizzazione alla quale aderiscono circa 340 Organizzazioni della Provincia di Treviso quasi tutte di volontariato, sarebbe necessario cogliere l’occasione per una riflessione sull’attuale situazione in cui si trovano gli Enti del Terzo Settore come vengono attualmente definite le Organizzazioni di Volontariato ODV e quelle di Promozione Sociale APS.
È ormai da molti anni, più di venti, che Volontarinsieme è stata costituita, allora per poter gestire il Centro Servizi per il Volontariato e oggi per dare voce alle istanze provenienti dall’insieme delle organizzazioni che hanno aderito, viene a trovarsi oggi dentro a dinamiche di trasformazione, identitarie, di senso e organizzative molto complesse.

ALBERTO FRANCESCHINI

Una società in piena crisi di partecipazione, poco attenta alle giovani generazioni, con alcune evidenti disfunzioni della riforma del terzo settore hanno reso la crisi della partecipazione politica, delle dinamiche di ibridamento tra profit e non profit, l’accentuarsi delle pratiche di disintermediazione della politica, le retoriche sull’inclusione, la comunità, le differenze, ancora più complesso il quadro e il lessico che lo interpreta.
Ragionare di volontariato è un navigare a vista e fare rappresentanza un compito difficile, inevitabilmente parziale, foriero di pericoli di semplificazione e scorciatoie, faticoso e inevitabilmente poco gratificante nel breve/medio periodo. Per ragionare attorno al nodo del “costruire rappresentanza” (detta diversamente la rappresentanza ha una sua natura, ma è anche la somma dei sottoprodotti di altre dinamiche), che paiono più interessante della composizione della rappresentanza stessa (parafrasando ”il viaggio è più interessante della meta”) piuttosto che sulle questioni da rappresentare. In primis va sottolineato che il volontario, figura principe dell’impegno civile a cavallo tra ‘900 e nuovo millennio, ora non è più solo e condivide la scena con altre figure che abitano la società di mezzo. In secondo luogo occorre provare a ragionare sul rapporto tra terzo settore e politica, facendo riferimento anche ad alcuni elementi che indicano il riaffacciarsi sulla scena di dinamiche di consociativismo, sia a destra che a sinistra, pur con differenti modalità, tema che avevamo conosciuto nei decenni pre muro di Berlino e che si era sfumato per molti anni.
Il terzo è un insieme di tante sottolineature che derivano dalla parabola del volontariato negli ultimi 10/15 anni e che sono sostanzialmente gli elementi di quel “detta diversamente”, ovvero di tutti quei fattori, espliciti o impliciti che appaiano che in qualche modo impattano sui processi del costruire rappresentanza.
Qual è la figura che occupa lo spazio tra cittadini e politica e quali sono le dinamiche che incarna, le retoriche che attiva?
Dai primi anni ‘90 questa domanda è uno dei temi centrali della lunga fase di crisi e spaesamento della cosiddetta “sinistra” e di ridefinizione identitaria di quella terra di mezzo che assume via via nomi diversi: prepolitico, società civile, corpi intermedi, associazionismo, terzo settore, cittadinanza attiva (ed altri se si passa dal dibattito politico/sociologico a quello economico), parola magica che definisce il terreno dove avviene qualcos’altro di magico; la “partecipazione” su cui molto ci sarebbe da riflettere su vecchie e nuove forme, lessici… seduttivi immaginari. Tempi duri per il volontario e per il militante, anche per una riforma del terzo settore che bada più al volontario singolo che alle organizzazioni e per una partecipazione politica sempre più in calo.
Processo di svalutazione della politicità del termine volontario che trova una ulteriore sponda, nel confronto sui nuovi attivismi è partito dalla riflessione su cosa ci serve per poter cambiare davvero le cose, assumendo la possibilità di essere imperfetti nelle azioni ma avendo ben presente che è necessario esserci.
Luciano Tavazza e Giovanni Nervo, padri del volontariato “moderno” (quello, semplificando, che si

PERCORSO FORMATIVO PROPOSTO DA CSV BELLUNO TREVISO, IN COLLABORAZIONE CON SOCIOLAB RICERCA SOCIALE

occupa non solo di intervenire concretamente nelle situazioni, ma anche di agire politicamente sulle cause che stanno a monte dei problemi), si rivolterebbero nella tomba, ma in parte forse è solo un difetto, non di poco conto, di storicizzazione del tema.
Un primo ragionamento è quindi su come attivisti, volontari e militanti concorrano a delineare quantità e qualità della rappresentanza e dei diversi luoghi in cui questa si esprime; una geografia piuttosto complessa e in movimento. Viviamo una fase di complesso intrecciarsi tra politica, cittadinanza e terzo settore, che tende a rigenerare, rimodellare il rapporto tra politica e cittadini, tra stato e società. Emergono anche tentazioni, sulle e tra le righe, di creare nuove forme di consociativismo più in linea con le sensibilità e i linguaggi del tempo, all’interno delle dinamiche partecipative, che si vanno ad intrecciare con le fragilità che a volte emergono nella democraticità e nei processi di rappresentanza delle organizzazioni della società civile. In generale gli esempi di queste dinamiche possono essere tanti ed anche estremamente diversificati nel tempo e nelle diverse realtà territoriali.
Si va dalla sostanziale logica cooptativa della politica nei suoi appelli elettorali alla società civile (pensiamo ai tanti presidenti di organizzazioni del terzo settore migrati in politica… PD soprattutto, e il bilancio che se ne può trarre), alle modalità spesso antitetiche di gestire la rappresentanza delle sue diverse componenti nei Forum del terzo settore dove abbiamo a volte, per scelta, rappresentanze paritetiche tra Coop, ApS e OdV e a volte forti sbilanciamenti verso le reti nazionali di ApS, stante una stabilità bi o tripartita della rappresentanza cooperativa. Questo secondo ragionamento ci fa entrare nel vivo delle foschie che spesso avvolgono il costruire rappresentanza nel terzo settore, della delicatezza dei rapporti con la politica, della estrema relatività con cui si valuta la rappresentanza effettiva delle varie sigle, degli elementi confusivi introdotti dalla riforma del terzo settore che tende a imprenditorializzare l’intero Terzo settore invece di spingere verso una migliore articolazione interna tra organizzazioni imprenditoriali, come le imprese sociali, e organizzazioni non imprenditoriali.
In tal modo la riforma rischia di appannare la specificità delle organizzazioni di volontariato sottovalutandone le funzioni di tipo non produttivo. Accanto alle ombre ovviamente ci sono anche generosi tentativi, non immuni da rischi, di innovare i rapporti tra volontariato e politica e le relative rappresentanze, basti pensare ai vari cartelli di “Alleanza” o “Forum” (Asvis, povertà, non autosufficienza…) e alle dinamiche relative ai regolamenti sui beni comuni approvati da tante amministrazioni comunali. Anche in questo la Regione Veneto che si vanta di avere un grande volontariato non è al passo con queste nuove forme di partecipazione, non è che il volontariato associato delle varie provincie abbia fatto molto di più, da anni sta dibattendosi sul come darsi una rappresentanza Regionale senza arrivare a nessuna soluzione.
Questo vale anche per i 5 CSV presenti in veneto che nonostante sia prevista una loro rappresentanza nell’assemblea nazionale di CSV Net non hanno trovato l’intesa per effettuare tale nomina.
Modalità innovative che coesistono, in una logica del doppio binario, con le forme classiche dei coordinamenti e delle consulte che sono forse quelle più in difficoltà stante lo svuotamento di senso e di operatività dei consigli comunali. In estrema sintesi e semplificando enormemente, il “volontariato dei beni comuni” nato nell’epoca della crisi della partecipazione politica e della svalorizzazione dei corpi intermedi. Per costruire rappresentanza deve tenere conto di un vocabolario rinnovato e più complesso dove la Coprogrammazione e Coprogettazione previste dal Codice del Terzo settore siano l’orizzonte verso il quale tendere.
La difesa dei diritti e la dimensione del conflitto: continuano a calare gli indicatori di un terzo settore come soggetto che si occupa esplicitamente della difesa dei diritti e sa assumersi anche l’onere del conflitto che a volte questo richiede.

La decisione governativa di far applicare l’IVA al Volontariato e alla Promozione Sociale dal 1 gennaio 2025 richiederebbe una grande mobilitazione di questi Enti del Terzo Settore in difesa della loro specificità di Enti non Commerciali esercitando il loro ruolo di rappresentanza.
Riavvicinare le generazioni del volontariato attraverso la condivisione dei fili comuni e la comprensione dei linguaggi: i 60/70enni: dall’emergere del volontariato “moderno” alle parole di Gaber: “libertà è partecipazione”.
I 40/50enni: negli anni ’90 post muro di Berlino, la crisi di rappresentanza di partiti e sindacati portò all’esplosione del fenomeno del volontariato, prima, e del terzo settore poi, con relativo corollario di un nuovo vocabolario (non profit, finanza etica, impresa sociale, a riprova di una via italiana sostanzialmente economica al terzo settore), dentro ad una idea di società civile come collante che permetteva alla società di resistere e ri-esistere.

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