“Come vedi è Natale ed è l’unico giorno che/io non penso più a niente,
non penso più a niente, nemmeno/a te”
(Adelmo Zucchero Fornaciari)
Care amiche e cari amici,
vi immagino intenti ad assemblare il tradizionale albero o il presepe, a riflettere su quale regalo acquistare e per chi, a organizzare il cenone della vigilia o il pranzo in famiglia. È giunto quel periodo dell’anno in cui, per religiosità o per semplice e consolidata abitudine, dedichiamo del tempo in gesti di affetto che si mescolano tra sincerità, empatia, dovere famigliare e a volte un pizzico di ipocrisia. Non neghiamolo: capita sempre il momento di puro imbarazzo in cui facciamo visita a una persona altrimenti dimenticata, in cui confezioniamo un regalo per chi preferiremmo dimenticare, in cui sediamo a tavola con qualcuno cui in altri contesti non rivolgeremmo un cenno di saluto.
Nel periodo delle feste natalizie, ogni barriera pare poter cadere. O almeno pensiamo che possa essere così. Invece spesso riponiamo in un cassetto per qualche giorno i nostri fastidi e le nostre antipatie per indossare una maschera sorridente, neanche volessimo anticipare in maniera abbastanza sciocca il periodo di Carnevale. Da decenni identifichiamo il Natale nel periodo della bontà e della gentilezza, come se tali sentimenti debbano essere relegati a pochi giorni del freddo inverno, consentendoci così nel resto dell’anno di essere freddi, cinici, profittatori, anche disonesti all’occorrenza.
Perché? Forse a causa di una esasperazione sociale che nel corso dei secoli ci ha pervasi, pensando che bastino un pacco infiocchettato e una frase di auguri a mondarci da pregressi di egoismi e garantendoci al contempo altri dodici mesi di menefreghismo. Purtroppo non è così. L’editoriale di questo numero lo dedico quindi a chi soffre per fame, malattia, guerra, solitudine, i nuovi cavalieri dell’Apocalisse che percorrono le nostre strade ogni giorno. E la seconda dedica va a chi non solo a Natale ma quotidianamente decide di combattere queste piaghe in maniera concreta: col volontariato, con la dedizione, sottraendo del tempo e qualche risorsa al proprio benessere per donarlo a chi nulla ha.
Una salace battuta sulle origini della religione afferma che non importa se una storia sia vera o meno: è sufficiente che doni speranza, così da indurre la gente a crederci. Per dimostrare che un messaggio di vero amore e di autentica fratellanza umana non va relegato al solo 25 dicembre di ogni anno, il miglior gesto da compiere è far diventare ordinario ciò che si circoscrive al Natale. Non basta un giorno all’anno di buoni sentimenti per poter vivere davvero lo spirito natalizio, occorre semmai essere costanti nelle azioni e nei pensieri. Con queste parole auguro a voi, ai vostri cari ma anche a chi conoscete appena un Natale sereno e, quanto al 2025 alle porte, vi espongo un possibile buon proponimento da realizzare: essere autentici, sinceri, genuini, gentili col prossimo in ogni occasione. Senza voltarsi dall’altra parte, facendo finta di non aver visto o sentito. I conflitti nascono dall’egoismo e dal desiderio di prevaricazione. Ma se noi, nel nostro piccolo, sappiamo offrire un messaggio di autentica umanità, i prevaricatori diventeranno minoranza e il sentimento di giustizia sociale da utopia diverrà un progetto realizzabile.
Buon Natale… e un felice anno nuovo!
Il direttore responsabile
Federico Bettuzzi
PHOTO COURTESY OF: LUCIANO BRAGAGGIA