I 60 anni di Massimiliano Pilotto, da sempre Bitols

di CINZIA ZANARDO

Massimiliano Pilotto, da sempre Bitols, trevigiano doc, come ama definirsi, ha allietato con la sua musica, dagli anni ’80, molte generazioni, in compagnia di persone che frequentavano i pianobar della Treviso da bere. Ha portato i suoi concerti in ogni dove, pub, piazze, teatri, ristoranti, battelli, aziende, testimone di molti gusti musicali.
Ancora sulla cresta dell’onda, amato per la sua musica ma anche per la sua giovialità, ironia, energia e grande umanità che offre al suo pubblico.

MASSIMILIANO PILOTTO

Da bambino girava per Treviso in bicicletta con la chitarra. Iniziamo da qui?
“Mio padre era appassionato di musica inglese e americana, aveva un sacco di dischi che io ascoltavo sempre e mi ispiravo. Verso i 12 anni ci trasferimmo a Postioma, per 2 anni, un periodo lontano dalla piazza e con tanto tempo libero, investito tutto per studiare chitarra, da autodidatta. Non ascoltavo solo Gianni Morandi. C’erano tanto Blues, Country e poi i Beatles, i Pink Foyd, ma anche tanta musica classica. E io mi esercitavo, mi ispiravano. Prendevo la bici, e pedalando per andare a Treviso a trovare gli amici, suonavo l’armonica a bocca, poi con la compagnia, facevamo serata sulle mura con la mia chitarra. Una sera incontro Alberto Biasotto amante dei Rolling Stones. Lui cominciò ad appellarmi “Varda Bitols” e Bitols è rimasto”.

Cosa ha fatto nella sua vita prima che la musica diventasse il suo lavoro?
“Ho un curriculum molto intenso. A scuola ero un disastro, turbolento, indisciplinato, ero sempre in giro, non studiavo, non avevo regole e orari. A 15 anni fui spedito da mio padre, per un paio di mesi, in Germania a fare gelati. Grazie a un amico australiano compresi quanto fosse importante imparare bene l’inglese per tradurre i testi delle canzoni. Qualche anno dopo partii volontario Paracadutista. Avevo bisogno di rimettermi in linea, di fare ordine. La mia vita cambiò totalmente. Passai dal caos alla disciplina pura. Rientrato da militare, ho fatto il bagnino, poi con un furgone, col mio compianto amico Paolo Zucchello, abbiamo girato l’Europa e l’Australia. Un tour per conoscere il mondo ma anche per fare i lavori che trovavamo e suonare nei vari locali. Avevo 24 anni. Rientrato, ho aperto dei locali, dei bar in spiaggia dove ero bagnino a Jesolo e dove suonavo insieme ad altre band”.

Intorno al 2000 il suo hobby è diventato il suo lavoro. Cosa le ha fatto scattare questo cambiamento?
“Nel ’99 è mancato mio padre e ho venduto il locale. Era un periodo in cui avevo tantissime richieste per suonare. Da lì in poi mi sono dedicato completamente alla musica.
Sicuramente una grande passione, un cambiamento che è maturato nel tempo, ma arrivato spontaneo. La musica è sempre stata la mia compagna di viaggio, sono sempre stato molto eclettico, ascoltavo tutto, dal classico al moderno, sperimentavo, cercavo”.

Che generi musicali ha frequentato?
“A casa tanti dischi di musica classica Wagner, Beethoven, Vivaldi, Bach, Grieg. Poi il passaggio alla musica dei Beatles che mi ha stregato. Ho approfondito il beat, poi la musica inglese e americana degli anni ’60.
Poi ci sono i gusti personali, quello che suono e ciò che la gente vuole sentire.…
Il mio gusto personale è chiaro, il Rock Progressive, il mito degli Emerson, Lake &Palmer, il jazz, rock, il fusion dei Weather Report con Jaco Pastorius che considero un grande da quando l’ho sentito suonare a Mestre nel 1980 e lì mi ha stregato. Questa è la musica che ascolto, ma improponibile al pubblico. Mi piace il Rock n’roll, il Blues, il Country. Questo incontra i gusti della gente. Ma conosco anche la musica popolare. Mi sono sperimentato sulla Bossa Nova brasiliana, il swing, jazz e Frank Sinatra”.

Il pubblico cosa si aspetta da lei?
“Il pubblico è sempre eterogeneo, cerco prima di tutto di individuare cosa vuole, cerco di capire attentamente i gusti. Osservo le reazioni e in base a quelle posso anche modificare la mia scaletta. Ci vuole sensibilità, sentire le vibrazioni delle persone L’importante è riuscire a regalare belle emozioni”.

Che ingredienti mette nelle sue serate per soddisfare il pubblico?
“Quando mi esibisco in zona, vengono tanti amici e gente che mi conosce. Sanno che sono vintage, anni ‘60 ‘70. Spazio in vari generi da swing, al country, mi piace proporre Simon&Garfunkel, Cat Stevens, Bob Dylan, poi crescere come velocità con Elvis Presley, Creedence Clearwater Revival, Roy Orbison, Jimi Hendrix”.

Lei gioca con la musica, con i personaggi, con le interpretazioni.
L’ironia non le manca.
“Si, porto parrucche, travestimenti per imitare qualche personaggio e animare l’atmosfera, per esempio Ray Charles, Rocky Roberts. Una delle mie doti è sempre stata la capacità di interpretare un testo inventato al momento. Con alcuni elementi ti faccio una canzone su un personaggio tra il pubblico, magari molto ironica. I trevigiani sono così, siamo abituati a prenderci in giro. Sul palco sono ironico per mettere le persone a proprio agio, per coinvolgerle.
Improvviso, faccio una sorta di cabaret, ovviamente non riesco a ripeterlo 10 minuti dopo. Questo crea feeling, le persone si sentono protagoniste della serata.
Comunque protagonista resta la musica. Anni fa, con Marco Baldini in Radio feci l’inviato dall’estero, poi mi chiamarono per fare degli sketch comici a Raidue. Chiesi di cantare qualcosa di più impegnativo, ma non mi fu concesso. Rifiutai la collaborazione perchè non potevo escludere la musica e non volevo essere l’imitatore”.

Perché è così gettonato?
“Ho ricavato un mio spazio nelle serate, il musicista, come ogni altro professionista, deve essere puntuale, l’abito consono alla situazione, gli strumenti giusti. Precisione, puntualità e avere quello che serve. Essere in armonia con l’ambiente e saper ascoltare anche se solitamente è il pubblico che ascolta”.

Trovo in lei energia, ironia e clima familiare. Sa creare una bella atmosfera. La persona vicina a me, sconosciuta, diventa meno sconosciuta attraverso la sua modalità espressiva. Sa creare serate frizzanti che mettono il buonumore. Si ritrova?
“Cerco di creare una bella serata, far sentire tutti a loro agio. Non sono malato di protagonismo, mi concentro più sul pubblico che su me stesso. Non considero una persona superiore all’altra, considero tutti uguali, ho lo stesso rispetto per il mio idolo che per l’ultimo dei manovali. Tutte le persone hanno qualcosa di particolare, di speciale”.

Neanche il covid è riuscito a fermarla, come si è reinventato?
“Quel periodo è stato di grande difficoltà per gli artisti. Anch’io spiazzato dall’isolamento, io che amo stare con la gente, mi sentivo quasi soffocare. Mi sentivo in scatola. Da lì l’idea di fare una bella scatola, un Jukebox, all’interno del quale potevo esibirmi perché il vetro era una protezione. Potevo pure cantare nelle piazze, negli spazi aperti. Sono stato il primo in Italia, tanto che la Siae non sapeva come identificarmi. La prima esibizione a Treviso, a Ponte Dante. Di quel periodo resta una canzone sul covid “La mascherina”.

Uno dei momenti più belli sul palco e uno dei più tristi
“Tra i più belli aver salutato i Beach Boys al Forum di Assago. Sicuramente una grande emozione quando ho cantato Frank Sinatra con Gianni Ephrikian e gli Orchestrali a Treviso un po’ di anni fa. Stupenda e formativa l’esperienza fatta in Australia, nei pub e on the road. Le situazioni più difficili e dolorose quando mi chiamano a cantare al funerale degli amici”.

Cosa consiglierebbe a un giovane che vuole fare musica?
“Direi prima di tutto di conoscere la musica, ascoltare tutto, anche le cose che non ti propone la massa.
Siamo il risultato delle nostre esperienze, più ne abbiamo e più abbiamo ingredienti da mettere in pentola.
I ragazzi tendono a uniformarsi. Li capisco ma è un limite. Fai della musica il tuo lavoro, a discapito anche di sicurezze, ma prima conosci.
Oggi certe canzoni hanno testi volgari, irritanti, sicuramente indicano uno stato di malessere, una protesta. Usare la musica per mandare dei messaggi è sempre stato fatto dai giovani. Il testo è messaggio su basi musicali che andrebbe analizzato bene, molto bene, e su di esso riflettere”.

Nelle sue serate cerca di dare dei messaggi?
“Più che messaggio cerco di dare e lasciare un’emozione, mi impegno perché questa arrivi. Vorrei che la gente riuscisse a passare il suo tempo nel migliore dei modi, con positività, coraggio e gratitudine in tutte le situazioni”.

Il 31 agosto Bitols ha festeggiato i 60 anni, con un grande appuntamento che ha riunito 600 amici, con un Concerto nel parco del Nomad Hostel di Treviso.

AMICI MUSICISTI HANNO FESTEGGIATO I 60 ANNI DI “BITOLS”

Un ricordo particolare a Paolo Zucchello detto Formajo, mancato a maggio, grande amico di Bitols col quale ha girato il mondo.

Sul palco una trentina di musicisti per far ballare giovani e meno giovani, almeno tre generazioni, a testimoniare che Bitols piace, sa fare breccia nei cuori e regala emozioni oltre le mode.

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