“Il comico che fa più ridere?
E’ quello che ha un sacco di disagi interiori”
di FURIO PRANDI
Giovanna Donini, trevigiana di San Pelajo è una giornalista, autrice televisiva e teatrale.
Si occupa da sempre di comicità alternando il teatro e la tv al giornalismo.
Dal 2006 scrive per comici affermati e fa parte della redazione di Smemoranda e di Zelig.
Giovanna Donini, adesso che sei diventata una delle autrici comiche più apprezzate d’Italia, come ti vedi una trentina di anni fa?
“Vedo una ragazza un po’ spaurita, che però a vent’anni aveva bisogno di dire tante cose.
Sono nata nel 1973 nel quartiere di San Pelajo, la casa dei miei in via Don Sturzo era muro contro muro con quella del professor Giandomenico Mazzocato, che oggi è ancora un grandissimo amico.
Avevo fatto il “Duca degli Abruzzi” e volevo fare la giornalista, per la precisione la giornalista sportiva, anzi per maggior precisione volevo scrivere di calcio.
Iniziai così a scrivere articoli per la “tribuna” prima e per il “Gazzettino” dopo. Però sentivo in me questa vena d’ironia che usciva sempre fuori”.
Una dote naturale o che derivava da qualcosa o da qualcuno?
“Credo che me l’abbia trasmessa mio papà Adamo, che è mancato nel 2014. Lui era docente di filosofia, eppure era in grado di passare dal parlare di Seneca al parlare di Totò in pochi secondi. Quando ero piccola con lui scrivevo delle storielle da ridere. Penso che sia nato tutto così”.
Torniamo al giornalismo sportivo. Quando è avvenuto il passaggio alla scrittura di testi comici?
“Quando, vista la mia versatilità, qualcuno mi ha consigliato di scrivere un piccolo monologo e di presentarlo al Caffè Sconcerto a Mestre, che a quell’epoca era un locale di cabaret, dove si esibivano già personaggi del calibro di Gioele Dix e Lella Costa, e dove aspiranti comici potevano presentare i loro pezzi in apertura degli spettacoli, un po’ come accade per un cantante che precede i concerti di una rockstar.
Riscontrai che nel pubblico riscuotevo un certo successo. Dopo un corso di giornalismo, mi sono
iscritta a Scienze della Comunicazione.
Ho conosciuto l’attore Davide Stefanato e lui mi ha spinto a scrivere testi che parlassero di me, dei miei disagi e di tradurli in una forma comica, perché diceva che mi riusciva molto bene”.
Spiegaci di quali disagi si trattava.
“Non ho certo difficoltà oggi a parlare della mia omosessualità. Ma quella volta non era facile, serviva coraggio. C’era una mia cugina che viveva in America che andai a trovare nel 1995. Lì proprio in quel periodo una notissima conduttrice televisiva, Ellen DeGeneres, aveva appena fatto coming out.
E io capii che i miei testi avrebbero dovuto improntarsi ancora di più su questo aspetto della mia personalità. Dovevo essere più autobiografica.
Nacque il gruppo delle Spaventapassere, con le amiche Camilla Ferretti e Silvia Bandini. Andammo allo Zelig a Milano per un provino, che andò bene. Loro due non hanno continuato, io non sono più andata via da qui”.
Tanta gavetta.
“Ovviamente sì. Erano gli anni in cui erano già pronte al lancio ragazze come Geppi Cucciari o Teresa Mannino, iniziai a collaborare con loro, a scrivere i testi. Mi accorsi che mi veniva meglio scrivere che esibirmi sul palco ed è diventato il mio mestiere.
Lo Zelig, fin dai tempi di Diego Abatantuono e Teo Teocoli, post Derby, è stato sempre uno stupendo laboratorio di comici. Poi è diventata anche la trasmissione comica popolare che è oggi. Grazie alla direzione artistica di Giancarlo Bozzo, grazie a quegli straordinari autori che sono Gino e Michele, ormai miei amici per la pelle.
Ma quella del comico è una carriera difficilissima. Ogni martedì, ancora oggi, allo Zelig si fanno provini,
aperti al pubblico, così che un comico può testare la sua presa sugli spettatori.
Piaceva anche a me salire sul palco, ma a stare dietro le quinte mi sentivo più a mio agio, ho scoperto che so mettermi molto bene anche nei panni degli altri, ne carpisco le sofferenze e insieme agli artisti riusciamo a trasporle nei monologhi.
Ho trascorso anni intensissimi, una specie di full immersion.
Posso dire che ho vissuto per un lungo periodo solo tra lo Zelig e viale Monza. Questa è diventata la mia professione. Abito a Milano dal 2005, ho preso casa proprio in viale Monza, a due sole fermate dallo Zelig. Così anche tornare a casa di notte, dopo i provini, è meno problematico.
Mi sono accorta di essere anche ormai un po’ milanese quando un tizio mi ha chiesto dov’era una via e io gliel’ho saputa indicare molto bene…”.
Parlaci della collaborazione con Teresa Mannino.
“Una collaborazione che è diventata oggi una grande amicizia. Tra di noi c’è stata fin da subito grande complicità. Ci sono dei meccanismi comici che a volte risultano più naturali, fatti di grande affinità.
Ci capiamo con uno sguardo e i testi ci sgorgano quasi spontanei. Siamo amicissime, la seguo spesso negli spettacoli in tournée e molte volte, quando non è a Milano, ci troviamo a lavorare anche nella sua casa di Palermo. Insieme abbiamo scritto già quattro spettacoli”.
Scrivi, tra gli altri, anche per Vanessa Incontrada.
“Quando ha iniziato a presentare Zelig insieme a Claudio Bisio aveva solo autori maschi. Un giorno mi ha visto e ha chiesto che potessi lavorare anche io con lei, perché voleva un’autrice. Tutto è nato così.
Un’altra artista molto brava ed una collaborazione che mi piace tantissimo.
Collaboro molto anche con Federico Basso e ultimamente con Germano Lanzoni, la voce del Milan a San Siro, il volto del milanese incallito”.
Ma a parte quelli con cui collabori direttamente, ci sono dei comici che ammiri in modo particolare?
“Amo da sempre Gioele Dix, adoro Katia e Valeria, stimo moltissimo Leonardo Manera, uno che è in grado di cambiare di continuo i suoi personaggi e di proporne sempre di nuovi.
Come non citare poi Aldo, Giovanni e Giacomo, che trovo strepitosi. E lo stesso Claudio Bisio, un conduttore-spalla ideale che ogni comico vorrebbe al suo fianco. Tra i volti nuovi mi piace molto Cinzia Marseglia”.
E a livello internazionale?
“Il mio vero idolo è stato Robin Williams. Lo so, parlo di un mostro sacro. Lui era capace di salire sul palco senza un copione, per venti minuti almeno improvvisava le battute. Un vero mito. Ci rimasi malissimo quando morì, a quel modo poi. Ho pianto.
C’è un docufilm che racconta benissimo come la sua comicità fosse anche nella vita di tutti i giorni, come nascesse da un’esigenza che facesse da contraltare alle sue sofferenze interiori. Io mi rivedo molto in questo.
Sostengo da sempre che il comico, oltre che alla realtà che vede intorno a sè tutti i giorni, si ispira ai suoi grandi disagi intimi.
Io in questo senso ringrazio di essere donna e di essere gay: è la mia forza”.
Progetti futuri?
“Con Teresa stiamo portando in giro l’ultimo spettacolo, che si chiama “Il giaguaro mi guarda storto”. Stiamo registrando naturalmente le nuove puntate di Zelig.
Collaboro con aziende partecipando a workshop legati all’umorismo: aziende che per i propri dipendenti cercano anche interazioni umane ed un approccio alla vita più leggero.
Poi sto lavorando ad un progetto a cui tengo tantissimo.
Sarà un laboratorio tematico, in cui voglio ospitare artisti che hanno rigorosamente testi solamente scritti sulla diversità, che può essere l’omosessualità ma anche la disabilità.
Saranno tutti comici emergenti e ospiterò di volta in volta un comico famoso. E salirò di nuovo sul palco anche io”.
A Treviso ritorni?
“Ogni volta che posso, ho i parenti, tanti amici, dei carissimi affetti.
Amo da sempre la mia città. Inoltre curo insieme a mia sorella un’associazione, “Il filo di Simo”, intitolata a mio nipote Simone, che si è tolto la vita per depressione a 27 anni.
Con gli esperti, con gli psicologi, aiutiamo le persone che vivono disagi interiori.
Ecco, vedi: gli eventi della vita mi hanno sempre accompagnato con questi due volti, due anime spesso inaspettate: una comica e una tragica”.
Il giornalismo sportivo è finito definitivamente in un cassetto?
“Credo di sì. Resto una grande tifosa di calcio e della Juventus.
Il figlio che abbiamo avuto io e la mia ex compagna, Tommaso, ha 8 anni e gioca a calcio.
Dicono che è bravo, che ha le qualità di un numero dieci.
Ma poi magari farà il comico…”.