A cura di Alberto Franceschini
Le questioni riguardanti la sanità sono sempre all’attenzione dell’opinione pubblica soprattutto quando capitano fatti eclatanti come quelli degli ultimi giorni che hanno coinvolto vari Pronti soccorso d’Italia con deprecabili atti di violenza. La spiegazione del perché si arrivi a fatti così gravi e deprecabili è stata ben illustrata nel Data Room della giornalista Gabanelli nel TG della 7 e pubblicato nel Corriere della sera, dove ha evidenziato come il pronto soccorso sia diventato l’ultima speranza per molti cittadini che cercano risposta alle loro necessità di salute dopo che hanno cercato invano di averne da altre parti.
L’assistenza sul territorio a partire dai medici di base è diventata un terno all’otto; le liste di attesa per visite specialistiche od esami sono a tempi indefiniti. Purtroppo però non ci si rende conto che la sanità pubblica non è più un “servizio al popolo” come l’ha definita il Santo padre (19 nov 2023) ma, a spese del popolo e nonostante i diritti del popolo, è diventata per lo più un “servizio a pagamento”.
Si può dire che siamo ormai arrivati alle “controriforme della seconda generazione”, quelle che, in aperta violazione dell’art. 32 e della 833, stanno favorendo le grandi imprese e le assicurazioni private nella gestione della salute dei cittadini. Le dimensioni complessive delle attività private fotografate dal rapporto di Mediobanca del giugno di quest’anno ci dicono che le strutture private accreditate e finanziate dal SSN sono il 49% del totale nel caso dell’assistenza ospedaliera, il 59% per l’assistenza specialistica ambulatoriale, il 72% per l’assistenza agli anziani, ecc., un’espansione molto rapida rispetto agli anni passati.
Un progressivo e lucido processo di privatizzazione che vediamo attuarsi anche nella nostra regione, in cui tutte le scelte di politica sanitaria hanno mirato ad un unico obiettivo: ridimensionare la sanità pubblica, a partire dalle aree periferiche, per aprire spazi alla sanità privata.
Basta ipocrisie.
Insomma, smettiamo tutti di fare gli ipocriti. Ormai la situazione è chiara: in Italia c’è una doppia sanità, una pubblica che si restringe sempre di più e una privata che, grazie alla politica, si estende sempre di più.
Una privata che prolifica con i soldi pubblici erogati per prestazioni che il SSN non è più in grado di dare o, meglio, qualcuno ha deciso che è meglio non dare. Da anni ormai il pubblico e il privato sono stati messi in competizione per accaparrarsi le risorse economicamente disponibili.
Oggi, attraverso la detraibilità fiscale, il privato ormai domina sul pubblico, che de-finanziato sta diventando di giorno in giorno sempre più marginale. Insomma, la riforma del 1978, quindi l’art 32 della Costituzione sulla base del quale essa è nata, nel derby “diritti/interessi” hanno perso i diritti e il neoliberismo ha vinto.
Questa è la “catastrofe” che abbiamo di fronte e sulla quale tutti fanno finta di niente.
Salviamo la sanità. Un appello alla ragione.
In queste condizioni difficili, quasi disperate, è necessario un sussulto delle comunità locali che, private di servizi essenziali, scendano in campo come cittadini attivi per salvare il Servizio Sanitario Nazionale nato con la legge di riforma secondo quanto previsto dall’Art.32 della Costituzione che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Siamo di fronte al “tradimento” della riforma, di una azione comunque dannosa, compiuta consapevolmente ai danni del paese e di una intera popolazione, profittando della sua buona fede e della sua fiducia, non di un equivoco, un fraintendimento, un abbaglio causato da circostanze finanziarie avverse e difficili, quindi da problemi contingenti di sostenibilità e di governo.
Il tradimento dell’art 32 non si può affrontare come se fosse un errore politico o una svista della politica ma va rimosso decidendo di ricontestualizzare l’art 32 in questo contesto sociale, economico e politico. Cioè di rigenerarlo mettendo l’art 32 dentro il nostro tempo e nelle nostre complessità. Considerando la situazione grave alla quale si è arrivati, forse è giunto il momento di lanciare un “appello alla ragione” con lo scopo di andare oltre i tradimenti e di ridefinire nuovi contesti e nuove regole.
Non si tratta di tirare fuori i cannoni dagli arsenali, anche perché di cannoni da tirar fuori, non ce ne sono, ma, al contrario, di tirare fuori la ragione come se fosse un cannone, nel tentativo di trovare un accordo, come dice una bella canzone di Bennato, per “salvare il salvabile”. Salvare l’art 32 o la sanità pubblica è come salvare una civiltà, un patrimonio del paese, un valore per la nostra intera comunità nazionale, cioè per salvare qualcosa che, essendo universale a priori, vale sia per la destra che per la sinistra.
Fare il salto riformatore.
Oggi fanno bene quelli che chiedono più risorse per la sanità ma, nello stesso tempo, farebbero bene a chiedere di attivare un confronto che coinvolga tutte le forze politiche per salvare la sanità. Oggi si deve andare oltre la “mezza riforma”, la famosa 833, e fare una nuova legge che, ripartendo dai principi della legge istitutiva del SSN, li riconfermi innovando le parti che possono essere considerate superate. Oggi si tratta di pensare la sanità in questo tempo, non in un tempo che non c’è più. Non possiamo fare un appello alla ragione senza decidere oggi quale sia la “ragione” adeguata a questo contesto.
La sfida della compossibilità.
Fare un accordo per salvare l’art 32 non è, come si potrebbe pensare, un “embrasse nous”, un’ammucchiata; non è mettere da parte la conflittualità, ma è organizzarla in un altro modo. È usare le idee disponibili migliori, che, se fossimo dei veri pragmatisti, sarebbero semplicemente le idee più convenienti nei confronti del contesto al quale ci si riferisce.
Questa è la domanda pragmatica che nessuno si pone.
Per rispondere a questa domanda c’è un solo vincolo da rispettare: essere tutti, sia di destra che di sinistra, intellettualmente onesti e mettere davanti a tutto e a tutti l’interesse generale del paese.
Se si vuole una sanità pubblica forte, questo non vuol dire che esiste l’obbligo per ciascuno di noi di farsi curare solo dallo Stato, ma vuol dire che: chi vuole curarsi nel privato lo può fare liberamente ma a spese proprie, cioè senza mungere la mucca delle agevolazioni fiscali; come esiste la gerarchia delle fonti, esiste anche una gerarchia tra diritti fondamentali e interessi individuali.
Ammettere il principio di libertà significa rendere possibile l’assistenza privata con quella pubblica, evitando con cura che, a causa sua, il diritto fondamentale e l’interesse collettivo di cui parla l’art 32 risultino danneggiati e compromessi da quello individuale di cui parla l’art 3.
Come ci ha spiegato l’Ocse, oggi è rischioso per i diritti agevolare il privato a spese del pubblico e nemmeno si può far crescere contestualmente la spesa pubblica e la spesa privata.
Non ha senso consentire alla libertà individuale di danneggiare i diritti fondamentali di una intera comunità nazionale. Cioè, non ha senso impedire o ostacolare il diritto di un intero paese ad avere dei diritti.
Questo è il punto di partenza.
Se non si è d’accordo su questo, la convenzione tra punti di vista non si può fare.