“Ciao amore”
siamo dalla Teresa della Pasina
di Michele Miriade
Ciao amore”. E quando senti questo saluto, vuol dire che hai varcato la soglia della Pasina, accolto dalla Teresa. Ovvero il ristorante di Dosson della famiglia Pasin, che era, fino a due anni addietro il regno della cucina dello scomparso GianCarlo (Carlo) con appunto al suo fianco la moglie Teresa Celotto, nativa di San Biagio. La regina della sala, sempre al suo fianco, nel lavoro e nella vita con 54 anni di
matrimonio. E con quel ciao amore, pieno di affetto, cortesia, gentilezza, amicizia e stima, fa sentire il commensale a casa propria. Teresa con il suo amato Carlo, oltre a mettere su famiglia, ha dato vita appunto prima all’osteria Alla Pasina a Dosson, dietro la chiesa e vicino al vecchio campo da calcio, e poi l’attuale rinomato ristorante, a poca distanza, restaurando una casa colonica in campagna (e guarda caso vicino al campo da calcio), diventato una fucina di incontri enogastronomici ad alto livello con il figlio Simone, che ha imparato da mamma e papà, il mestiere fatto di cortesia e buone maniere. Ovviamente sotto gli occhi vigili di “Terry il Generale”, cioè la Teresa che ha esperienza da vendere.
Teresa, come è iniziata la sua vita lavorativa?
“A 14 anni, sono rimasta senza papà, morì a soli 40 anni. Così mi sono rimboccata le maniche andando a lavorare alla De Longhi a Fiera, per poi passare in centro a Treviso in piazza Pinelli in un laboratorio di calze”.
E l’incontro con il suo futuro marito Carlo?
“L’ho conosciuto alla De Longhi, poi lui andò a lavorare da Carniato, facevano arredamenti per cucine, ristoranti, alberghi e spiedi. Iniziò a girare appunto tra le cucine di trattorie e ristoranti. Era attratto anche perché aveva la passione della cucina. Ci siano sposati giovani, io a 21 anni, lui 25, dopo 2 anni è nato Simone, dopo altri 3 la Nicoletta. Così abbiamo creato famiglia, avevamo poco allora, ma tanta volontà e voglia di fare”.
E come è nata l’osteria Alla Pasina?
“Carlo aveva fiutato che nel suo lavoro c’era crisi, così nel 1977 abbiamo preso l’osteria. Lui era conosciuto nel mondo del calcio, come giocatore e poi allenatore e preparava cene per la squadra. E siccome in osteria c’ero anch’io, la gente iniziò a dire andiamo “Alla Pasina” ed ecco la nascita del nome. Quando abbiamo iniziato io ero in cucina a preparare stuzzichini, cioè gli svariati cicchetti, lui al bancone, ma dopo 6 mesi abbiamo invertito i ruoli. Lui amava la cucina, io ero più portata per stare al bancone. L’osteria era una tappa obbligatoria per tanti ed ero arrivata, in certi giorni, a vendere, ombra dopo ombra, due damigiane di vino. I cicchetti era diventati fondamentali”.
E nacque tra gli altri la famosa supposta.
“Ideai il piccolo panino, a forma di supposta, con burro e acciughe, andava a ruba e le ombre si moltiplicavano, Poi i crostini con radicchio, sarde impanate, baccalà, i folpetti, le uova con acciughe, olive, cipolline. Quei cicchetti ci permisero di vincere anche il concorso “Steccadente d’oro” che si teneva a Treviso. Carlo poi inizio a andare a scuola di cucina a Milano, conoscere e frequentare tanti ristoratori conosciuti anche quando girava per le cucine per il suo lavoro. Era curioso ed alzava i coperchi delle pentole”.
E da lì nome Alza Querci?
“Certo Beppo Maffioli e Alfredo Beltrame lo battezzarono così in fretta”.
E Maffioli era di casa da voi?
“Un giorno entrò in osteria, chiamai Carlo per dirgli che era arrivato il suo maestro, poichè lo era stato
alle elementari a Silea. Iniziò a frequentarci, ad andare in cucina, è stato il primo maestro di Carlo, tanti insegnamenti ma anche parole poiché Maffioli era fatto così. Ma diceva “Carlo cucina con amore e con il cuore” e così è sempre stato”.
E lei sempre al suo fianco?
“Amministravo, dirigevo se vogliamo dire, mandavo avanti l’osteria diventata trattoria. Carlo poi iniziò a girare l’Italia per seguire eventi, imparare, voleva capire sempre di più, iniziarono poi le serate e i menù a tema, seguì i corsi sul vino con Angelo Serafin. Io sempre in prima linea, tanto lavoro, aprivo alle 7 del mattino per chiudere anche alle 2 di notte ed avevo anche i due figli, che sono praticamente cresciuti in osteria e Maffioli era sempre vicino a loro”.
Momenti di tante soddisfazioni?
“Si, tanto lavoro ma tante soddisfazioni, l’osteria era diventata il cuore dei menù stagionali e del territorio grazie alla grande volontà e passione di Carlo, che si era fatto conoscere ed apprezzare in giro per l’Italia, l’Europa e il mondo diventando l’ambasciatore del radicchio di Treviso. Io gestivo il tutto con grande volontà in sua assenza”.
Ha saputo trasformare la vecchia osteria.
“Trasformata è il termine giusto. Da fuori diceva poco, dentro era diventata una bomboniera, con il focolare: era l’emblema del calore, dell’amore, della riservatezza, del sentirsi coccolati e a casa. Negli anni ho ricevuto tanti complimenti”.
E’ frequentata da tanti personaggi?
“Certo, arrivavano in tanti, in sordina perché trovavano la semplicità e il calore della famiglia. Ricordo alcuni come Dalila Di Lazzaro, Tiziano Ferro, Ornella Muti, il campione del ciclismo Pantani, tanti politici da Bossi a Leoluca Orlando al giovane Luca Zaia, il prefetto Scivoletto che aveva un’adorazione per noi, l’attuale Ministro Nordio. E tanti, tanti altri, ritornati poi nel nuovo locale, come tante miss”.
Parliamo dell’attuale Pasina?
“C’era stato qualche problema con il cambio di proprietà, così ci siamo guardati attorno, ed abbiamo scovato una casa colonica in campagna, poco distante. Carlo non era convinto, ma io si. L’abbiamo un po’ alla volta trasformata, un restauro generale facendola diventare ristorante con le varie salette, il salone per gli eventi, il grande giardino, la sala riunioni, la grande cucina dove Carlo andava a nozze ricavando al piano superore sei camere. Quanti pensieri, ma quante soddisfazioni”.
Il saluto “ciao amore” come è nato?
“E’ stato tutto spontaneo, da sempre. Parto dal presupposto che voglio bene a tutti e nell’atmosfera dell’amicizia, della gioiosità del termine, del far sentire le persone a casa, ma nel rispetto, vuole essere una vicinanza disinteressata nel desiderio del bene”.
Ma hai accolto con ciao amore anche vescovo di Treviso e il parroco di Dosson?
“E’ vero, per me era tutto spontaneo e quindi è accaduto anche quando varcò la soglia l’attuale vescovo Michele Tomasi. Poi mi resi conto di aver esagerato, ma lui si mise a ridere e disse che il saluto aveva un grande significato, ed era stato avvisato dal parroco don Adriano”.
E Terry il Generale?
“Ho sempre diretto l’attività e la famiglia. Da quando ci siamo sposati ho tenuto l’amministrazione di tutto e Carlo si è sempre sentito tranquillo. Diceva che senza di me non ci sarebbe stata la Pasina e tutto quello che abbiamo creato assieme. Così sono diventata Terry il Generale. Con Carlo c’era una grande intesa, pur diversi, ma una grande sintonia, amore e rispetto, Ci sia capiva al volo guardandoci. Si vero sono il generale perché ho avuto tutto sotto controllo ma questo ci ha permesso di costruire una vita lavorativa e di coppia durata fino alla sua morte”.
Due anni senza Carlo, cosa significa?
“E’ dura, molto dura dopo 54 anni di matrimonio e 6 di fidanzamento ed aver lavorato fianco a fianco. Mi è crollato il mondo quando è morto, se ne è andato troppo presto e in fretta, non me l’aspettavo. Quando mi sarebbe piaciuto stare ancora qualche anno con il mio vecchietto”.
Futuro?
“Mi sono ripresa, bisogna andare avanti. Simone è bravo e sono contenta e quando c’è qualche momento di difficoltà dice che Carlo ci sta guardando e aiutando. Ci sono ancora delle cose da fare, peccato invecchiare. Poi siamo contenti che la cucina sia guidata da Francesco Benetton, del quale Carlo ha sempre avuto grande ammirazione, ovviamente ricambiata”.
E l’amicizia di tanti colleghi?
“Tanti amici, oltre ai trevigiani da tutta Italia che al funerale sono arrivati in divisa da cuochi e poi hanno dato vita, lo scorso anno, a una cena in suo ricordo. Accadrà anche quest’anno. Io e Carlo abbiamo seminato, siamo stati vicini a tanti e ci stanno ricambiando”.
In ricordo di Carlo, il Rotary e Giancarlo Saran hanno ideato il premio “Alsa Querci”, una grande soddisfazione?
“Enorme, viene così ricordato Carlo che andava per le cucine ad alzare i coperchi delle pentole, a guardare, spiare, imparare e da autodidatta ha saputo fare molto ed insegnate a tanti giovani. E il bello del premio è che venga assegnato ad un giovane cuoco, poiché Calo da autodidatta ha insegnato a tanti giovani. Il 10 ottobre ci sarà appunto la seconda edizione. Sarà una serata benefica come quella con i cuochi di varie regioni”.