La mattina del 20 gennaio 1986, in un incidente stradale sulla tangenziale ovest, nei pressi di Silea, moriva a 52 anni Domenico Armellin da tutti conosciuto come “El Cocco” mentre si stava recando al lavoro.
Il figlioletto Davide di 2 anni, seduto nel sedile posteriore si salvò miracolosamente. Era un atleta di straordinari mezzi fisici ed era giunto al Rugby piuttosto tardi, ma ben presto si impose come avanti eclettico, in grado di occupare tutti i ruoli, da pilone sinistro a terza linea. Aveva esordito in nazionale a 29 anni, come terza linea ed aveva concluso la sua carriera in azzurro a 33 anni come pilone. La sua particolare predisposizione per lo sport e le sue doti atletiche lo avevano visto protagonista, a livello dilettantistico, anche nel tennis, nello sci, nel calcio, nel nuoto.
Del “Cocco” mi sovvengono, per la nostra amicizia e simbiosi, le serate parigine passate ad assaporare golosamente piccoli “caraboi” e grigie “schie” crude, ostriche con una goccia di aceto addolcito dal porro tagliato. Una volta arrivammo in Rolls Royce (di Del Monaco) acquistata da Flavio Erri.
Alla grande, anche se i gendarmi ci fermarono per controllare le nostre facce, di Tino e di Franco Casellato. Piazzammo l’auto di fronte all’albergo, aspettando l’arrivo all’aeroporto del Cocco e di “Dentin”. La sera una meravigliosa cena completa di pesce. Allo stadio poi la partita ci riempì di piacere, con Serge Bianco stupendo contro le maglie rosse del Galles. E poi festeggiammo al “Charles I” fra cruditès di pesce e champagne rosè finché l’imbarazzato capo cameriere ci avvertì che era finito. Il costo provocò la crisi. Anzi.
Il lauto resto che Flavio allontanò, con una certa noncuranza verso il maitre fece esplodere Franco. Mancia va bene, non uno stipendio, perbacco! E ci abbandonò incazzato, con nostro grande stupore, subito ridimensionato da una frase del “Cocco” buttata là ammiccando di inconscia filosofia “par ch’el poco tempo che ghe ze da vivar…” L’anno prima il “cugino” francese George era riuscito a prenotarci un albergo vicino al Moulin Rouge, tappezzato di velluti rossi e di larghi specchi, tanto da sembrare un vecchio bordello.
Il Cocco non aveva ritrovato la valigia sul nastro rotante all’aeroporto e quella sera noi passeggiammo nel quartiere intorno da un bar all’altro a bere whisky, lui in jeans e con la barba lunga perché voleva solo il suo rasoio. Tra uno spogliarello e l’altro controllavamo le ragazze che si rivestivano e uscivano dal locale. Una in particolare ci colpì, aveva i capelli neri raccolti sulla nuca, pantaloni di pelle nera attillati, giubbetto da punk e movimenti felini che si scontrò casualmente all’uscita con noi e così approfittammo per salutarla col nostro ciao a cui lei sorrise e disse di non conoscerci…si chiamava Rita e la vedemmo salire su una moto enorme ed accessoriata perché doveva andare ad una festa.
Con il Cocco abbiamo passato più di qualche Capodanno a Vienna. La prima volta con la sua 1100 con un pieno di scatolette Marruzzella e Lambrusco Gualtieri (dal deposito del Pancio e di Sandor) a far conoscenza coi genitori di Helga come “compari”. Per tre giorni la muty e il papi ci hanno riempito di gulasch, di dolci fatti in casa, di pasticcini, di caffè con abbondante panna. Domenico “Cocco” Armellin era anche questo ma soprattutto era una persona umile, nella vita e nello sport.
Non ha mai chiesto niente a nessuno; ha dato tutto quello di buono che poteva dare. Per lui non ci sono state né premiazioni né medaglie da Associazioni o Enti preposti: eppure era una campione, genuino, forte, generoso e leale.
Di nostra iniziativa abbiamo consegnato all’allora Sindaco ben 1877 firme per una petizione che chiedeva di intitolare lo Stadio Comunale di Monigo a “Cocco Armellin”.
Il silenzio è stata la risposta.
di Giorgio Fantin