di Furio Prandi
Cara palestra Coni, che ne sarà di te? Avrai saputo che sul tuo destino ci sono ancora tante incertezze: verrai abbattuta? Verrai ristrutturata?
“Beh, non posso nascondermi, il peso dei miei anni si vede tutto. Qualche tempo fa ho perso anche qualche pezzo e ho provocato un po’ di apprensione. Mi rendo conto che non sto più tanto bene ed avrei bisogno almeno di qualche ritocchino”.
D’altronde sei un pezzo di storia di Treviso, non possono mica rottamarti così senza remore.
“Eh già. ormai vado per i 66. Quando mi hanno costruito lungo i Passeggi di viale Vittorio Veneto, uno dei più bei viali di Treviso, davanti a me non c’erano ancora molte di quelle ville che hanno tirato su molto tempo dopo. Proprio di fronte, dove sono sorte le bellissime case delle famiglie Bargamini e Goppion, c’erano campi e persino un vigneto, fino al 1970 i ragazzini ci giocavano a calcio e a nascondino. Pensate, un vigneto a pochi metri da Porta San Tomaso. E non era il Medio Evo…”.
Raccontaci di te.
“Sono stata edificata alla fine degli anni Cinquanta, facevo parte degli impianti sportivi costruiti nel piano previsto dal governo per le Olimpiadi di Roma del 1960. Ho infatti tante sorelline che mi assomigliano molto in giro per l’Italia. A Ravenna per esempio ho praticamente una gemella”.
E chissà quante ne hai vissute.
“Tante storie, tante emozioni, tanti eventi. Sono stata per decenni un punto di riferimento di Treviso per tante società sportive. E poi chi non è passato nelle mie sale per un allenamento, un’ora di educazione fisica, un avvenimento da seguire? I trevigiani oggi di mezza età mi hanno frequentato e mi hanno voluto bene. Come lo hanno voluto a tutti i vari custodi che si sono succeduti a farmi compagnia, di giorno e spesso anche di notte. Qualcuno di loro viveva proprio qui in un locale adattato a mini appartamento per sè e la famiglia. Chi mi frequentava li chiamava per nome e loro, i custodi, erano amici di tutti”.
Parliamo un po’ di pugilato.
“La boxe, la nobile arte. Io ho visto quella che ancora appassionava i tifosi. C’erano tanti ragazzi che la praticavano. Pugilato a Treviso vuol dire Treviso Ring, specie quella del periodo di Egidio Recchia come maestro, che aveva sede qui da me. Sono stati anni ruggenti, con tanti campioncini che si sono formati. Un periodo glorioso in cui il clou era rappresentato dal Trofeo Primo Carnera, un appuntamento annuale in cui in vari match si sfidavano nomi più affermati e giovani in cerca di fortuna. Qui la sera del trofeo c’era il pienone di pubblico, arrivavano da tutto il Triveneto. La palestra era satura di tifo. E di fumo, perché allora si poteva ancora fumare al chiuso. Sembravo un piccolo Madison Square Garden”.
Poi come non parlare del basket.
“Beh, posso dire che il basket è stato lo sport che più mi ha identificato. I vari club cittadini facevano a gomitate in municipio ad accaparrarsi gli spazi per gli allenamenti e le partite. Specie prima che nascesse il Natatorio a Santa Bona. E nel fine settimana era tutto un tourbillon di partite. Alla domenica giocavano almeno tre squadre di altrettanti campionati. Si cominciava alla mattina con la partita delle 11, poi al pomeriggio c’era quella delle 17.30 e spesso ce n’era una anche alle 20.30. Alle volte il custode era costretto a buttare fuori gli spettatori di una partita per consentire che entrassero quelli di un’altra. Tanto tifo nella tribuna del primo piano e tanti anche nel parterre, dove ditemi chi non si è preso almeno una zuccata per esultare ad un canestro segnato dalla sua squadra, picchiando contro quel soffitto che è così basso”.
Ti faccio solo un nome: Nidia Pausich.
“Che personaggio incredibile, che avventura la sua: sono stata il teatro della fantastica cavalcata del suo Basket Treviso dalle serie inferiori fino alla Serie A. Un sogno che si materializzò nel 1977, una promozione che coronò quella che venne descritta come la dimostrazione che con umiltà e caparbietà si possono raggiungere traguardi impensabili anche senza grandi campioni e super budget.
C’erano Luciana Montelatici, Galdina Baruzzo, Nicoletta Persi. Alzi la mano chi non ricorda quel grido dell’allenatrice rivolto alle sue ragazze quando difendevano, quasi un marchio di fabbrica, che riecheggiava tra i muri del palazzetto: Su le man!”
E in Serie A vennero i derby con la Pagnossin.
“Treviso ebbe la stracittadina in Serie A, un evento impensabile, di cui la città parlava per tutta la settimana prima della partita. E ricordate la coda per entrare e trovare un biglietto, fuori fino al controviale davanti alla palestra. Penso che la capienza massima in quei derby venisse ampiamente superata, ma anche le forze dell’ordine chiudevano un occhio.
La Plastilegno, si chiamava così la squadra, li perdeva di solito quei derby, ma sempre di pochissimo, facendo soffrire le più quotate avversarie fino all’ultimo, in mezzo ad un tifo infernale”.
Sei stata la culla anche di molte altre discipline.
“Certo. E’ quasi impossibile ricordarle tutte, ma devo citare la lotta, il judo, il pattinaggio, soprattutto la scherma: qui da me ha tirato anche un certo Matteo Tagliariol, poi campione olimpico”.
Cara palestra Coni, sei una specie di monumento dello sport trevigiano.
“Potete ben dirlo. Se un giorno mi vorranno buttare giù, come minimo qualche trevigiano dovrebbe venire a prendersi un mattone e portarlo a casa come un caro ricordo.
Ma se sopravviverò, magari con un maquillage, mi auguro di vivere e trasmettere altri 60 anni di storie sportive e di emozioni”.